L’interazione, argomento dell‘ultima settimana di change11, e un articolo di A.K. hanno ispirato il presente post col quale mi propongo di riferire in sintesi l’interrogativo presentato da A K; di esporre l’ esperienza di chi ha usato nell’interazione personale la lingua madre in un corso frequentato da pubblico internazionale; di mostrare, infine, che la barriera linguistica può sollecitare e promuovere azioni inedite, non convenzionali.
Multilitteratus Incognitus nel suo articolo, Change11,και οι γλώσσες πλην της Αγγλικής, ha sollecitato il punto di vista di chi nell’interazione in Mooc ha usato la lingua madre rinunciandovi poi, preferendo ad essa la lingua inglese. L’amico A.K nel suo post non ha trascurato di considerare che
tutti i supervisori del corso sono di lingua inglese, la ricerca su temi educativi e tecnologici in materia di istruzione è in inglese, che il multilinguismo non è un argomento dichiarato del corso.
Si tratta, a mio parere, di osservazioni appropriate e senz’altro condivisibili.
Osservo la questione dell’interazione, ricordando qualora fosse necessario, che ho una conoscenza superficiale dell’inglese, ciò mi ha spinto a usare la lingua italiana fin dalla partecipazione al mio primo corso connettivista (PLENK 2010); ancora adesso nell’interazione uso l’italiano. Non ho trascurato di dedicare impegno ed energie allo studio della lingua inglese, aspirando a migliorare le mie competenze, tuttavia per questioni diverse, sentendomi insicura, mi riesce difficile argomentare in questa lingua.
L’alternativa è il silenzio, soluzione questa che francamente non mi convince nè mi entusiasma.
È indubbio che l’inabilità a usare la lingua franca per eccellenza presenta numerosi svantaggi fra cui senso di inadeguatezza, timore di esclusione, svariate limitazioni, talvolta disagio e spesso imbarazzo come ho segnalato in diversi interventi, per esempio qui qui e qui. Tuttavia, come spesso accade, dalle mancanze trova origine la ricerca di modi per lottare contro la propria e l’altrui emarginazione, determinando anche una vera e propria forma mentis; ho parlato di questo per esempio qui, qui e qui.
Ricordo ora gli escamotages a cui ho fatto ricorso per contenere o eludere le situazioni problematiche in cui mi sono imbattuta e per documentare le interazioni, in lingua inglese e non, da cui trarre feedback di rinforzo:
- archiviazione sistematica dei commenti in inglese coi quali ho espresso la mia presenza e vicinanza con il redattore del post;
- preferenza per le connessioni con «i parlanti di English as a second language (ESL), considerato che ai miei occhi sembrano più orientati a considerare chi vive una medesima condizione; attenzione per le connessioni con i parlanti inglese come lingua madre (English as a native language, ENL) (Wikipedia);
- controllo regolare della mappa dei visitatori del blog;
- inserimento della funzione condivisione «Translate to English» per agevolare chi non conoscendo la lingua italiana è interessato a leggere i miei post
Nel concludere voglio rilevare che, nonostante gli impedimenti sopra indicati, l’interazione nelle diverse forme, in change11 e in generale nei corsi precedenti è stata sempre altamente soddisfacente.
A questo punto non mi resta che ringraziare i
- promotori di #change11, Stephen Downes, George Siemens , Dave Cormier
e tutti
- facilitatori: Zoraini Wati Abas, Martin Weller, Allison Littlejohn, David Wiley, Tony Bates, Rory McGreal, Nancy White, Eric Duval, Jon Dron, Clark Aldrich, Clark Quinn, Jan Herrington, Howard Rheingold, Valerie Irvine and Jillianne Code, Dave Snowden, Richard DeMillo, Ashwim Ram, Preetha Ram, and Hua Ali, Pierre Levy,Tom Reeves, Geetha Narayanan, Antonio Vantaggiato,
Tony Hirst, Alec Couros, Marti Cleveland-Innes, Diana Laurillard, George Veletsianos, Bonnie Stewart, Terry Anderson.
Un forte abbraccio ai MOOCies.