#change11 #oped12, #CFHE12… Un ossimoro

Seguendo la segnalazione contenuta nella  OLDaily del 7/12/2012 tento di accedere a quella che ritengo possa essere una risorsa per il mio quotidiano apprendimento, ignara della spiacevole sorpresa che mi attende.

Go away

http://iconnectdots.com/go-away

Debbo pensare che il sito mi sia precluso in quanto italiana?

Sono sgomenta.

 

 

#change11 – Questioni di lingua

L’interazione, argomento dell‘ultima settimana di change11, e un articolo di A.K. hanno ispirato il presente post col quale mi propongo di riferire in sintesi l’interrogativo presentato da A K; di esporre l’ esperienza di chi ha usato nell’interazione personale la lingua madre in un corso frequentato da pubblico internazionale; di mostrare, infine, che la barriera linguistica può sollecitare e promuovere azioni  inedite, non convenzionali.

Multilitteratus Incognitus nel suo articolo, Change11,και οι γλώσσες πλην της Αγγλικής, ha sollecitato il punto di vista di chi nell’interazione in Mooc ha usato la lingua madre rinunciandovi poi, preferendo ad essa la lingua inglese. L’amico A.K nel suo post non ha trascurato di considerare che

tutti i supervisori del corso sono di lingua inglese, la ricerca su temi educativi e tecnologici in materia di istruzione è in inglese, che il multilinguismo non è un argomento dichiarato del corso.

Si tratta, a mio parere, di osservazioni appropriate e senz’altro condivisibili.

Osservo la questione dell’interazione, ricordando qualora fosse necessario, che ho una conoscenza superficiale dell’inglese, ciò mi ha spinto a usare la lingua italiana fin dalla partecipazione al mio primo corso connettivista (PLENK 2010); ancora adesso nell’interazione uso l’italiano. Non ho trascurato di dedicare impegno ed energie allo studio della lingua inglese, aspirando a migliorare le mie competenze, tuttavia per questioni diverse,  sentendomi insicura, mi riesce difficile argomentare in questa lingua.

L’alternativa è il silenzio, soluzione questa che francamente non mi convince nè mi entusiasma.

È indubbio che l’inabilità a usare la lingua franca per eccellenza presenta numerosi svantaggi fra cui senso di inadeguatezza, timore di esclusione, svariate limitazioni, talvolta disagio e spesso imbarazzo come ho segnalato in diversi interventi, per esempio  qui  qui e qui. Tuttavia, come spesso accade, dalle mancanze trova origine la ricerca di modi per lottare contro la propria e l’altrui emarginazione, determinando anche una vera e propria forma mentis; ho parlato di questo per esempio qui, qui e qui.

Ricordo ora gli escamotages a cui ho fatto ricorso per contenere o eludere le situazioni problematiche in cui mi sono imbattuta e per documentare le interazioni, in lingua inglese e non,  da cui trarre feedback di rinforzo:

  • archiviazione sistematica dei commenti in inglese coi quali ho espresso la mia presenza e vicinanza con il redattore del post;
  • preferenza per le connessioni con «i parlanti di English as a second language (ESL), considerato che ai miei occhi sembrano più orientati a considerare chi vive una medesima condizione; attenzione per le connessioni con i parlanti inglese come lingua madre (English as a native language, ENL) (Wikipedia);
  • inserimento della funzione condivisione «Translate to English» per agevolare chi non conoscendo la lingua italiana è interessato a leggere i miei post

Nel concludere voglio rilevare che, nonostante gli impedimenti sopra indicati, l’interazione nelle diverse forme, in change11 e in generale nei corsi precedenti è stata sempre altamente soddisfacente.

A questo punto non mi resta che ringraziare i

e tutti

  • facilitatori: Zoraini Wati Abas, Martin Weller, Allison Littlejohn, David Wiley, Tony Bates, Rory McGreal, Nancy White, Eric Duval, Jon Dron, Clark Aldrich, Clark Quinn,  Jan Herrington, Howard Rheingold, Valerie Irvine and Jillianne Code, Dave Snowden, Richard DeMillo, Ashwim Ram, Preetha Ram, and Hua Ali, Pierre Levy,Tom Reeves, Geetha Narayanan, Antonio Vantaggiato,
    Tony Hirst, Alec Couros, Marti Cleveland-Innes, Diana Laurillard, George Veletsianos, Bonnie Stewart, Terry Anderson.

Un forte abbraccio ai MOOCies.

#change11 – Ultimo atto

Ultimata la lettura delle risorse segnalate, ho ascoltato (in differita)  la registrazione Elluminate  della presentazione di Terry Anderson. sui cambiamenti nei sistemi di educativi formali. È stato questo l’ultimo intervento col quale si sono concluse le 36 settimane del MOOC #change11.

Di seguito, con funzione di promemoria, riporto quelle voci, estrapolate dalla chat, che per motivi diversi ( segnalazione risorse, espressioni particolari, concetti…) hanno suscitato il mio interesse.

(Stephen Downes 20.08) –  In MOOC PLE ho imparato una lezione importante: – non lasciare che il mio datore di lavoro sia responsabile del sito web – hanno arrestato e bloccato tutti gli accessi a qualsiasi questione relativa al PLE.

(Stephen Downes # 2 20,25) – il contenuto è ancora un McGuffin – è solo serializzato

(Jennymackness 20,26) – @ Stephen McGuffin cosa vuol dire?

(SheenaW 20.31) – Il potere degli introversi di Susan Cain http://www.ted.com/talk/susan_cain_the_power_of_introverts.html

(DanBassill 1 20,40) – @ Marco insegnare agli studenti ad accedere e ad utilizzare queste risorse è la nuova sfida

(jennymackness 20,44) – Chiunque può essere un insegnante?

(Mark McGuire 20,47) – Re: OERu: Phil Ker (Responsabile del Politecnico di Otago), ha detto in una recente conferenza (DEANZ2012) che l’incoraggiamento degli studenti a studiare senza l’aiuto delle istituzioni è un cambiamento importante che deve essere preso in considerazione.

(Stephen Downes # 2 20,52) La mia opinione è che il nuovo modello di apprendimento non arriverà fino a quando si potrà ottenere un dottorato dal riconoscimento di apprendimento piuttosto che mediante qualche processo di salti attraverso il cerchio.

(LJP 20,53) – @ Stefano per me il nuovo modello sarà arrivato quando non sarà necessario il diploma.

(mark mcguire20.53) – PhD explained: http://en.wikipedia.org/wiki/Trial_by_ordeal

(Jennifer Maddrell 20,54) – ... qual è il motivo / fine per ottenere un dottorato di ricerca? “Addestrare” i ricercatori? C’è bisogno di dottorato di ricerca se si prevede di non fare ricerca?

(SheenaW 20,54) @ Jennie, la chiave è favorire lo sviluppo della capacità di apprendimento auto-diretto.

(Mark McGuire 20,55) @ Jennifer Maddrell: Lo scopo di un dottorato di ricerca è quello di separare quelli che sono dentro da quelli che sono fuori. E mettere a fuoco l’importanza e l’altezza del muro.

(Tom Reeves20.56) – Scopri fumetti PHD al seguente indirizzo http://www.phdcomics.com/comics.php

(Frank20.58) – Il problema della qualità con MOOcs è il grado di interazione studente – studente – connessioni

(DanBassill 1 21,01) – Grazie a tutti. E ‘bello vedere l’interazione informale tra le persone che sono leggende in questo campo.

(Brainysmurf 21,01) – Grandi abbracci virtuali […]

(dlynds21.01) – im getting all teary eyed / ho gli occhi pieni di lacrime (per l’emozione).

Esaminando le esperienze educative personali online, compiute in Università diverse, ho la possibilità di convalidare il teorema dell’equivalenza dell’interazione proposto da Terry Anderson. La teoria postula che se una interazione qualsiasi (studente – studente, studente – insegnante o studente – contenuto) è di alta qualità, gli altri due possono essere ridotti o addirittura eliminati senza compromettere l’esperienza di apprendimento.

Con soddisfazione scopro di poter mettere a fuoco agevolmente le peculiarità dei modelli e delle architetture didattiche e identificare il tipo di interazione di alta (o bassa) qualità che ha contraddistinto le esperienze di istruzione a cui ho accennato sopra.

A presto.

#change11 – Un album di figurine

Accolgo l’invito che Bonnie  Stewart ha lanciato su Facebook, gruppo change11, di partecipare alla conversazione sull’identità digitale, ma avendo in altri momenti dedicato energie e tempo a ragionare sul tema in questione come ho avuto modo di dire in più occasioni, per esempio qui e qui, decido che il focus principale della riflessione odierna riguarderà l’identità che esprimo su Facebook.

Ultimata, poi, la lettura dell’invito più sopra indicato, la prima operazione che ho compiuto è stata quella di inoltrare la richiesta di amicizia alla facilitatrice; in un breve lasso di tempo sono stata informata che la richiesta era stata accolta. Raggiunto il gruppo change11, ho avuto modo di notare la panoramica delle foto di alcuni membri del gruppo:

e immediatamente l’ho associata

  • agli album di figurine sugli animali, il giro del mondo in 180 figurine, che ho appena completato per i miei nipotini e

Quelle che potrebbero essere scambiate per analogie forzate evidenziano invece rapporti di somiglianza che poggiano sulla componente emozionale il cui ruolo su Facebook è tutt’altro che irrilevante. Nel primo caso (figurine dei calciatori) l’immagine evoca un ricordo; nel secondo (album di animali) le immagini dei profili fanno pensare per esempio alla diversa distribuzione geografica dei singoli amici;  nel terzo caso (album di famiglia), l’immagine richiama l’appartenenza a un gruppo specifico: change11.

Ho esposto i motivi che mi hanno spinto a creare il mio profilo su Facebook in CCK11 ambienti di apprendimento personali e reti mentre ho parlato del capitale sociale delle relazioni in CCK11eremiti elettronici iperconnessi.

Esplorando le azioni che normalmente compio su Facebook posso dire che sono guidate da cautela e discernimento, atteggiamenti questi maturati attraverso esperienze talvolta piacevolmente formative talaltra scioccanti, come ho avuto modo di narrare qui e qui; sono azioni volte a soddisfare esigenze molteplici: socializzazione, comunicazione, formazione continua, espressione di partecipazione nella società globalizzata.

Aiutandomi con una mappa ho visualizzato le componenti che esprimono la mia identità su Facebook:

  • foto (bacheca, immagini profilo, foto e video in cui compaio)
  • tipologie degli amici in relazione alle fasi della vita
  • gruppi di appartenenza

Concludo riconoscendo che la ricognizione testé operata mi ha permesso di far riemergere i vantaggi che la frequentazione di questa rete sociale può presentare come la condivisione di risorse e conoscenze; l’ispirazione di idee, narrazioni, ricordi.

# change11 – Parlando di ledearship

Non nascondo di aver faticato un po’ prima di riuscire a mettere a fuoco l’angolatura da cui osservare  il tema della leadership, argomento questo proposto all’attenzione dei corsisti di #change11 nella 30 (?) esima settimana.

Sono riuscita nell’intento solo dopo aver visionato e letto gran parte delle abbondanti risorse segnalate dalla facilitatrice  Marti Cleveland-Innes e solo dopo aver stabilito una relazione tra mito,parola in voga in #change11 nelle ultime settimane, e leadership. Ho quindi considerando i due termini  legandoli mediante preposizione ottenendo la formulazione seguente: il mito della leadership.  Si tratta di un’espressione che evoca l’immagine di una persona, una sorta di supereroe, dotata di particolari qualità che la rendono speciale e provvista di abilità straordinarie rispetto a quelle degli esseri umani normali.

L’escamotage si è rivelato utile sotto due punti di vista, da una parte mi ha permesso di contattare l’emozione negativa, l’insofferenza che provo nei confronti del/la Potere /classe dirigente che ha mostrato con una certa frequenza il volto dell’ egoista  di chi, cioè, persegue solo il proprio benessere, il proprio vantaggio senza curarsi degli altri; dall’altra mi ha aiutato a  portare alla luce la mia idea in fatto di leadership.

Le domande formulate dalla Marti Cleveland-Innes nella sua presentazione mi hanno facilitano nel processo che mira a evidenziare gli aspetti focali della questione,

  • chi ha bisogno di leadership?
  •  perché parlare di leadership?
  •  come viene definita la leadership?

su cui mi propongo di riflettere circoscrivendo l’analisi a quei orsi connettivisti di cui ho diretta esperienza.

Nel primo corso a cui ho aderito, PLENK 10, la leadership era incarnata da quattro persone, Downes, Siemens, Rita Kop, Cormier (?), mentre in CCK11 da due: Downes e Siemens. In change11 i leaders sono esperti in settori e campi specifici, sono orientati alla condivisione delle risorse e non  sembrano eccessivamente preoccupati di far conoscere il frutto del loro ingegno prima che esso abbia trovato esplicitazione in qualche pubblicazione,  libri o riviste che siano. Ne ho contati 36, un leader per ogni settimana di corso, come si evince dal programma MOOC schedule.
Mi sono interrogata sui fattori che possono aver indotto a operare cambiamenti in relazione alla leadership.  È plausibile che la distribuzione della leadership rifletta la necessità di stemperare responsabilità, distribuire compiti e incombenze, ma soprattutto tenga conto dei cambiamenti che le tecnologie di rete hanno esercitato sul significato e sulla declinazione dei concetti di potere e autorità?
E ancora «Se la pratica della leadership fosse concepita (anche) come un percorso che aiuta a scoprire aspirazioni, speranze e passioni; a prendere coscienza dei valori da perseguire;  a individuare impegni da prendere nella vita; o semplicemente a riflettere su se stessi (R.Boyatzis), vivremmo in un mondo più equo?»

#change11 – Creazione di senso

Sto perdendo colpi vuoi per stanchezza vuoi per la comparsa di segni di disaffezione che a livello temporale colloco ai tempi della conferenza indiana. La conseguenza per me è stata la perdita del ritmo con cui fino ad ora ho cercato di sostenere e interagire in questo generoso #change11.

Ciò non mi lascia indifferente, al contrario mi rattrista un po’ avendo l’impressione di non aver fatto il mio dovere fino in fondo. Talvolta penso che questo risultato sia imputabile al manifestarsi del perenne mutamento in cui sono coinvolta; talaltra sono assalita da fastidiosi pensieri:

  • la madre di tutti i Moocs, espressione coniata e usata da Siemens allorché annunciò l’avvio di change11, è forse vittima di se stessa?
  • La disaffezione che da più parti ho notato è forse ascrivibile ad una svista nella progettazione?
  • Cosa sarebbe successo se la successione dei facilitatori con le loro proposte avesse avuto una cadenza quindicinale?

Non mi rasserena l’affermazione secondo cui in un corso connettivista non si è tenuti a leggere e guardare tutto.

***

Oggi ho seguito in differita il discorso offerto da George Siemens sulla natura della creazione di senso e lo sviluppo di apprendimento analitico, argomento della 33 settimana. Qui ci sono le registrazioni:
Audio MP3
Registrazione Elluminate

In questa occasione il ricorso al testo della chat non mi ha aiutato. Meglio molto meglio le letture presentate sul qui e qui .

Cos’è la creazione di senso e perché è così importante?

È uno sforzo

“per creare ordine e dare un senso a posteriori di ciò che avviene” (Weick1993); è

“un motivato, continuo sforzo di capire le connessioni. . . al fine di anticipare le loro traiettorie ed agire con efficacia ” (Klein et al. 2006).

È importante perché si è in presenza di una frammentazione dei contenuti e perché l’interazione presenta problemi per gli educatori e studenti; è necessario riuscire a dare un senso a quello che sta succedendo, a sviluppare una visione coerente dei moltissimi argomenti che compongono per esempio un MOOC, sistema complesso, costituito da

“un insieme di attori diversi, che dinamicamente interagiscono l’un l’altro in un mare inondato di feedback”. (Miller e Page, 2007).

Creazione di senso e Analytics sono fra loro contrapposti? No,sostiene Siemens, sono fra loro collegati anche se con costrutti distinti (Schwandt 2005). entrambi riguardano processi, il primo coinvolge i processi di creazione di senso sociale, il secondo  l’apprendimento è un processo di realizzazione di connessione. Attraverso l’analisi si è in grado di tracciare le connessioni, di capire come si formano, la natura degli scambi tra le persone, e l’impatto di queste connessioni. I dati di sentieri che si creano nelle nostre interazioni quotidiane on-line e con gli altri costituiscono la base di analisi nell’apprendimento.



#change11 Cambiamento vs resistenza

Mi prefiggo con questo post di esprimere il mio punto di vista in merito alle interessanti domande che Jaap Bosman ha formulato nel suo ultimo articolo.

Brevemente richiamo le sue osservazioni. Ogni cosa nella vita è sottoposta a cambiamento che non avviene senza opposizioni e ostacoli; la resistenza ha svariate cause la cui la presenza e il cui concorso possono accelerare o rallentare il cambiamento.

Anche l’apprendimento è sottoposto a cambiamento, apprendere infatti significa cambiare le abitudini di pensare o di agire; cambiamento è rottura di abitudini.

La mia prima considerazione si riferisce a ciò che è persistente in un mondo che invece è in continuo cambiamento: la resistenza al medesimo. Aggiungo la convinzione che esistano persone che sono variamente orientate a incontrare e ad accogliere il cambiamento, così si possono trovare persone mutevoli ma non necessariamente incostanti, altre stabili. Ciò che più fa sentire la propria influenza credo sia riconducibile all’urgenza di svariati bisogni condivisi dagli uomini: bisogno di riconoscimento e di espressione, di tranquillità emotiva e senso di appartenenza, di imparare e stabilire connessioni con gli altri, di realizzazione, di miglioramento, di approvazione sociale, di cambiamento, di perfezionamento.

Personalmente mi ritengo una persona fornita da una massiccia dose di curiosità, aperta al nuovo e alla ricerca di diversi punti di vista. Proprio queste caratteristiche hanno facilitato l’incontro con i corsi connettivisti. Dovendo soddisfare altre priorità solo sul finire dell’attività lavorativa mi sono trovata nelle condizioni di poter assecondare inclinazioni e desideri, favorire bisogni divenuti ormai urgenti.

#change11 – A proposito di apprendimento e cambiamento

Dopo aver sfogliato il gruppo Flickr “Citazioni famose a proposito di apprendimento e cambiamento” come richiesto dalle attività suggerite da Alec Couros  mi sono attivata per dare  vita e corpo alla mia idea.

L’immagine può essere vista anche  qui e nel mio album su Flickr.

Il pozzo è l’immagine della natura dell’uomo che, per sé e per chi gli si avvicina, può essere risorsa, sorgente, possibilità di soddisfacimento della sete di sapere, conoscere, comprendere., insegnare…

Può accadere che trascurando di coltivarsi, non utilizzando e non valorizzando i propri talenti, nella sua vita si dedichi ad attività meschine e improprie. Degradandosi non potrà essere accostato da nessuno.

Può anche accadere che un uomo capace sia misconosciuto, ciò è un vero peccato giacché le sue ricchezze vanno sprecate.

Esiste un’ulteriore possibilità, quella che vede il riconoscimento dei meriti, delle qualità di un uomo che non ha trascurato di coltivarsi interiormente e culturalmente. Il suo pensiero, le sue parole costituiscono alimento certo per le persone che gli si avvicinano.

Nel tempo dell’abbondanza Internet e la Rete sono la realtà in cui un individuo interagisce, si forma e cresce, ciò comporta la necessità d’avere una piena padronanza della propria identità digitale che è

  • mezzo di emancipazione,
  • una componente critica per consentire la partecipazione nella società globalizzata della conoscenza,
  • l’ingrediente da utilizzare per stabilire una rete di contatti o per interagire con altre persone in modo digitale.

 

#change11, Sull’educazione come piattaforma

Decido di prendere in esame l’articolo di S. Downes «L’educazione come piattaforma: l’esperienza MOOC e cosa possiamo fare per renderlo migliore», presentato a EdgeX2012 , Delhi, India, 12 marzo 2012, perché rappresenta per me  un’occasione per comprendere più compiutamente la visione di uno dei fondatori dell’avventura educativa e formativa che ho avuto la fortuna d’incontrare in un momento della mia vita in cui era fondamentale trovare uno stimolo verso cui convogliare esperienza pregressa coniugata a un forte coinvolgimento intellettuale.

Nel riferire sull’esperienza MOOC il relatore parla dell’educazione come occasione favorevole, come opportunità; nell’articolazione del suo ragionamento l’autore ha dedicato spazio e attenzione nell’esplorare

  •  alcune esperienze,
  • alcune critiche ricevute,
  • alcune critiche avanzate,

e capire

  • gli elementi del design che stanno funzionando
  • gli elementi del design che non stanno funzionando

oltre che  avanzare la prospettiva personale alla luce della comprensione sul modo di apprendere online.

Due elementi che precedono l’esposizione vera e propria  mi hanno particolarmente colpito, palesandosi come una sorta di biglietto da visita dell’autore. Rilevati questi fattori si ottiene chiaramente l’angolo di visuale da cui il tema è trattato, intravedendo, al contempo,  le modalità impegare nel condurre ragionamenti. In ogni caso si tratta a mio avviso di informazioni preziose, oneste, trasparenti che io ho apprezzato sommamente.

Rivolgendosi ad un pubblico particolare Downes ha fornito informazioni personali dichiarando fra le varie cose  la collocazione spaziale del luogo di provenienza, di cui ha specificato  anche il numero di abitanti, ha quindi operato un confronto con la realtà in cui si trovava per il congresso. Il ricorso ad altri elementi di raffronto gli hanno permesso di esplicitare il suo modo di guardare il mondo:

cercare ciò che è famigliare, cercare il nuovo, cercare modi di interagire, mezzidi interagire, meccanismi di interazione.

Ha quindi esplicitato alcuni suoi convincimenti inerenti all’educazione/istruzione:

La formazione non risolve problemi sociali, di lavoro, problemi di povertà. L’istruzione è un punto i vendita veramente buono per l’istruzione generale e online in particolare. La radice dei problemi sociali non sono rintracciabili nella mancanza di educazione/istruzione tant’è che la letteratura specifica mostra che esiste una correlazione molto forte tra povertà e risultati scolastici. L’educazione ha un ruolo molto significativo nella qualità della vita che le persone istruite possono avere. È difficile essere educati/istruiti e avere una scarsa qualità della vita. L’educazione crea modi di vedere, modi di fare, modi di divenire che non sono possibili altrimenti. E queste sono le cose che rendono una persona disposta a lavorare di più con diligenza e con più forza verso avere quella vita.

Rimandando alla lettura integrale dell’esposizione che, ripeto, per me è stata chiarificatrice e a tratti rassicurante, voglio focalizzarmi su due aspetti: a) problema di connessione b) significato di apertura.

Ritengo sia necessario chiarirne il significato e individuarne le implicazioni al fine di comprendere il problema della scarsità di connessione.  La connessione comporta un legame con gli altri, il reciproco supporto; si conquista attraverso il riconoscimento e la disponibilità a manifestarsi, palesarsi; comporta anche l’accettazione di una dipendenza. Prevede un processo delicato e complesso, quasi certamente è il risultato di una frequentazione puntuale, regolare, assidua.

La domanda è « C’è la disponibilità ad abbracciare l’apertura e a mettersi a nudo? »

dal mio album su flickr

P.S.

Inserisco ora (29/03/2012) il link della registrazione dell’intervento.

#Lak12, Il prodotto sei tu

All’incirca un anno fa, Report, il programma d’inchiesta di Rai Tre condotto da Milena Gabanelli, ha dedicato la puntata del 10/04/2011 a Facebook e ai social network. Immediata è stata la reazione nella rete da parte di persone che, evidentemente, si sono sentite in qualche modo messe in discussione. La trasmissione e il dibattito che ne è seguito hanno costituito una sorta di cartina di tornasole relativamente alla consapevolezza richiesta a chi naviga, lavora, studia, interagisce in rete.

Sono andata a recuperare la puntata intitolata Il prodotto sei tu che si sposa perfettamente con l’argomento affrontato nel corso della quinta settimana di Lak12 di cui presento una sintesi.

Per accedere alla presentazione cliccare qui